NATALE IN SPAGNA

NOCHE BUENA AL CALOR DE ESPANA (NATALE IN SPAGNA)

Un tozzo scoglio ormai nero nel controluce dell’alba. Le luci di una cittadina davanti e il mare illuminato dal sole alzante dietro. Questa foto a tutta pagina è entrata nella mia memoria. Anni fa. Non ricordo bene quando. Erano gli anni ottanta. I primi anni ottanta. Io iniziavo la mia vita alpinistica, con un imprinting fra il classico e il moderno e con una gran voglia di girare le montagne del mondo, per andare a conoscere l’alpinismo e le salite che ne hanno fatto la storia. Momenti di alpinismo. Questa la rivista. Pubblicazione annuale dell’allora mitica, e unica rivista di alpinismo nazionale, “La Rivista della Montagna”. Quell’anno proponeva un articolo sul sud della Spagna. Posto ideale per le vacanze di Natale.

Si credeva ancora, allora, che al di fuori delle alpi non esistesse nulla o quasi. Nulla comunque che meritasse un viaggio, ne come posti ne come alpinisti. Tranne le grandi montagne della terra. Ma già il cambio di mentalità e il proliferare delle comunicazioni planetarie portavano voce di luoghi dove l’alpinismo stava vivendo una vita propria. Luoghi dove si sviluppava autonomamente un alpinismo di ricerca e di risultato che non aveva nulla da invidiare ai posti famosi delle Alpi. Certi luoghi, che noi andavamo a scoprire allora, sono poi diventati famosi e gettonati, sull’onda di imprese e personaggi che li hanno portati alla ribalta. Altri posti sono rimasti nell’oblio per noi italiani e per le nazioni alpine in genere, chiuse nella loro opulenza di un lusso di abbondanza di pareti di ogni tipo e nella arroganza di esser i depositari del sapere assoluto. Non c’è stato nulla e nessuno che ha portato alla scoperta, mediatica e fisica di certi luoghi.

Dopo una vita passata guardando l’est ecco che il nuovo, per me, si trova oggi ad ovest. Quell’articolo ha resistito nella mia libreria per 25 anni. Ha resistito a traslochi, eliminazioni drastiche della massa cartacea dell’archivio quando lo spazio esiguo della mia abitazione ha imposto riduzioni ed eliminazioni. È rimasto là. Da solo, strappato dal resto delle pagine che componevano la sua rivista, di cui ricordo il nome ma non la data.

Però ha continuato a farmi sognare. Ogni tanto lo guardavo Mi capitava fra le mani, per caso, mentre cercavo informazioni su altri luoghi. Ogni volta me lo leggevo di nuovo. Leggevo nomi di posti che non ho letto da nessun altra parte. Nomi di persone che solo raramente ho trovato nelle cronache e nei racconti. Continuavo a guardare le foto, poche e poco “belle”, come lo stile austero delle riviste di allora imponeva. Ma intuivo che dietro quelle poche foto, quelle scarne righe si doveva celare un mondo fantastico che mi attraeva. E poi c’era la foto a tutta pagina. Quel Peňon d’Ifach stagliato contro il mare Mediterraneo che ammaliava come una sirena.

Alla fine come ogni sogno cullato a lungo nel cassetto il momento di trasformarlo in realtà è venuto. Oggigiorno i chilometri si annullano grazie ai voli low cost del turismo del XXI secolo. Si arriva prima in Spagna e a costi decisamente inferiori che andare sulle alpi a fare qualsiasi vacanza normale.

E allora si decide di partire. Titubanti. Poca documentazione. Poco e succinto l’aiuto dato dalla ricerca in rete. “San Google” dà poche pagine sull’alpinismo nella zona. Poche ma sufficienti a far sognare. Poche ed insufficienti per muoversi con sicurezza. Ci sarà da scoprire e imparare giorno per giorno l’ambiente che ci circonda. Abbiamo diciotto giorni di vacanza ma decidiamo di spenderne solo dieci, la paura di non trovare un riscontro reale ai sogni è tangibile. La nostra scelta di vita ha privilegiato il tempo libero al lusso economico. Ma il tempo costa, e costa molto caro. Il denaro è poco e la paura di spenderne a vuoto tanta. E questo ci condiziona questa volta. Nel pieno di una generazione alpinistica molto attenta a risultato e prestazione noi continuiamo a vivere come trent’anni fa. Molto tempo in montagna. Molti chilometri e la voglia di scoprire sempre posti nuovi, per capire la storia che ha portato ai nostri giorni. Di prestazioni non se ne parla ma la voglia di scoprire, conoscere e girare è rimasta intatta al passare degli anni. Un centinaio di salite nel 2007 e solo una puntata sulle Giulie, le montagne di casa la dicono tutta su come intendo la montagna e l’alpinismo.

Abbiamo poche idee per la Spagna, due salite su tutto e tanta voglia di scoprire. E di immergerci nel sole dell’inverno caldo di Alicante. Un problema burocratico ci costringe a rinviare la partenza di un giorno. Arriviamo e piove. Non una pioggerellina sottile. Piove alla grande. Le strade sono al limite della percorribilità; le nubi plumbee corrono e si imbizzarriscono nel cielo. Arriviamo a Calpe, campo base del nostro viaggio, mentre un diluvio rende le strade gonfie d’acqua come torrenti… Pare un incubo. Grattacieli e residences si stagliano contro il cielo grigio e plumbeo. Il primo impatto invita alla fuga. Ci rifugiamo nell’appartamento prenotato. Al sesto piano di un grattacielo immane. Lungo e largo. I proprietari ci mostrano con orgoglio la spiaggia e il panorama sul mare. Bello scorcio fra una fila di grattacieli. Manca solo una fabbrichetta con i suoi altiforni che ricordi Porto Marghera… e il quadro sarebbe completo.

Iniziamo cauti la mattina dopo. Gran pozzanghere e nuvoloni neri. Parcheggiamo nel porto di Calpe. Posto carino a metà fra un porticciolo turistico e di pescatori. Conserva ancora però un’aria di “vero” che subito ci attrae… Avvicinamento su lungomare con lampioni… La selvatichezza qua non esiste. Le barchette all’ormeggio sembrano quelle della Sacchetta di Trieste e il lungomare Barcola in piccolo. Gran giro di gabbiani sopra la testa. Venticello teso e umido. windstopper ben chiuso sul collo. Spagna? Caldo? Mah…

Poi si gira l’angolo e la sud appare in tutta la sua grandezza. Un muro giallo. Erosioni enormi rossastre. Si innalza per 330 metri sopra di me, sopra il mare che si infrange contro la parete con onde lunghe sul lato destro. Spettacolo immenso. Decine di cocai (gabbiani) girano attorno facendo un casino enorme. C’è aria di casa… E nello stesso tempo aria di ignoto. Non sarà facile là in mezzo a quegli strapiombi su vie che sono il nostro limite e forse qualcosa di più. Ma la parete è stupenda. Erosioni e pilastri. Cerchiamo le linee di salita. La roccia sembra ottima e attrae, ammalia come una sirena.

Rinviamo l’attacco al centro della gran parete optando per una via al bordo sinistro. E va bene così. La pioggia ci flagella in discesa. Acqua a catinelle. Del solatio e mite inverno spagnolo non c’è traccia nell’aria. Ma i tiri fatti sono splendidi. La roccia è rugosa, appigliatissima. Le protezioni sono parche e invitano ad un largo uso di dadi, cordini e friends. Meglio così. Molta più soddisfazione che fare passi duri fra uno spit e l’altro.

Il giorno di Natale la “Noche Buena” porta un buco nella perturbazione. Gli strapiombi gialli della sud si aprono sotto le nostre dita. Per la terza volta in tre giorni usciamo in vetta al Peňon. Finalmente in maglietta! Il contrasto fra il giallo degli strapiombi e il verde della discesa. Il blu del mare in cui si riflette il gran sole. E un venticello secco da nord est. Tante analogie con casa, con la bellissima costiera triestina.

Il tempo peggiora di nuovo. La valle di Sella ci offre un’arrampicata sportiva e tanti sguardi sulle pareti attorno. Qua sportivo, classico e classico moderno si fondono in quello che è il centro d’arrampicata più frequentato dalla zona.

Ma ancora piove. L’acqua scende copiosa. Il metereologo della “Sexta” però è sicuro del fatto suo. “Manana tiempo bueno”. Lasciamo Calpe mentre ad oriente il sole indora il mare e il Peňon si riflette nell’acqua chiara, contornato da nuvole rosate. Stessa immagine della rivista che mi ha stregato. Ci attende il Puig Campana un massiccio alto 1400 metri di quota con una parete sud alta fino a 600 metri. Diedro Magicos. Una via dei mitici fratelli Gallego. La più bella della zona. Così recita la guida. Bella e bagnata. L’acqua corre nel diedro. Scoraggiati per quella che sembra una vacanza nordica e non mediterranea ci spostiamo sullo sperone centrale: nove tiri di corda da 50 m. difficoltà basse e roccia ottima. Al pilastro d’uscita la voglia di far fatica è ancora alta. Puntiamo alla vetta. 250 metri di roccette, rovi e massi instabili con un paio di tiri di corda in mezzo. Panorama bellissimo e discesa di quelle che non si fanno due volte nella vita. Capiamo perché i locali escono dalla parete tutti dalla cengia dove terminano le difficoltà. Ritorniamo altre due volte al Puig. Una guglia secondaria, Encantada, e alla fine il Diedros Magicos. Una successione di sei tiri di corda pochissimo protetti su roccia da favola e con una logica impeccabile. Una gran capolavoro dei fratelli Gallego, aperta in due giorni nel novembre del 1981. Il gran tetto che chiude la parte alta del diedro è superabile in artificiale grazie a due cordoni che penzolano da altrettante clessidre. Sono troppo impegnato quando salgo per pensare a come hanno fatto a mettere quei cordoni nei buchi di un soffitto quasi orizzontale. La fessura che porta al tetto è ancora bagnata ed è sprotetta. I friend non fanno buona presa nella fessura svasa e irregolare. Sono sei metri sopra la sosta e acchiappo al volo uno dei cordoni. Il movimento mi stressa alquanto e non mi godo il tiro, finendo per imbottire la fessura soprastante di ogni genere di incastro che mi riesce fare. Alla fine per superare il tettino finale mi trovo senza nulla in cintura. E passo in libera l’ultimo metro, uno strapiombino su prese piccole e piedi in aderenza… Gran emozione alla sosta. Una via così vale da sola il viaggio. Come lo vale la vista di Memen, splendida ragazza cataluna che sale sulle vie semisportive accanto con una grinta e uno stile da invidia…

Ultimo giorno. Il programma prevede ancora una via sul Peňon, la più interessante della vacanza. Forse la più dura. Ma la stanchezza fa pagare il suo tributo: sette giorni di arrampicata continua pesano nelle braccia e soprattutto nella testa. Lasciamo la Gomez Cano per il prossimo viaggio. Sarà un gran stimolo per ritornare in questa bellissima terra ad accarezzare ancora questa roccia eccezionale.

Le pareti di Mascarat sotto cui si passa con la strada statale sono allora un richiamo irresistibile per completare il viaggio con un’altra parete. Ci siamo passati sotto tante volte in questi giorni e le abbiamo rimirate dalla cima del Penon e dalla strada. Le si vede da lontano, sia da sud che da nord, svettare sopra la costa. L’attacco è presso il guard rail blu cobalto che delimita la strada statale. Le auto sibilano vicine, suonano e guardano con occhi increduli questi strani personaggi che col casco in testa e le corde sciolte sul marciapiede si apprestano a salire per la rete paramassi. Siamo in sei su questa piazzola. Quattro ragazzi spagnoli per il Pajaron, una via alla nostra destra e noi, che siamo gli ultimi. Aspettando il nostro turno facciamo stretching sulla ringhiera e quattro chiacchiere con i ragazzi spagnoli. Passato lo zoccolo, degno di posti dalla dubbia fama, il pilastro finale regala un panorama mozzafiato e un arrampicata sublime. La vacanza sta finendo ma tutto attorno lo sguardo spazia su pareti da salire… e già la voglia di tornare pervade cuore e cervello…

C’è ancora il tempo la mattina prima di andare all’aeroporto di dare una sbirciata al Morro de Toix, 1 chilometro di scogliera alta una ventina di metri, strapiombante a pelo d’acqua, su cui corre una via in  traversata verso destra. Il traverso Europa, 26 tiri 6b e A1, 12 ore di arrampicata. Chi sa che qualcuno non voglia pensare di liberarla …….

Hasta y suerte Espana

 

10 gennaio 2008

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