CIMA GRANDE DI LAVAREDO PARETE NORD VIA DEI KOLIBRIS

questo è il ricordo della prima salita in libera on sight della via dei Kolibris alla grande di Lavaredo. 8 agosto 1992.

La giornata è splendida. Panorami immensi si
immaginano verso settentrione, là dove, oltre i ghiacciai di Glockner e Ven
ediger, si aprono le verdi pianure d’Europa.

Nel
cono d’ombra della Nord non fa freddo; solo la roccia, gialla e strapiombante,
a momenti ricorda l’esposizione e la quota.

Le
soste sono comode, incr
edibilmente comode per questa parete che strapiomba
incessantemente. Si possono allungare le gambe su queste cengette, vere isole
orrizontali nel mare verticale.

Come
in un film tridimensionale giro lo sguardo a destra e a sinistra, spettatore
privilegiato della giornaliera lotta coll’Alpe sulle due grandi vie classiche
della parete. A destra la Comici, a sinistra l’Hasse, piene di ometti
variopinti che sento conversare, imprecare o gioire a seconda del passaggio.

Noi
siamo in mezzo; lenti ma inarrestabili proc
ediamo su questa via che fa parte della storia dell’alpinismo dolomitico.
Storia scritta col sudore e la fatica di chi arrampicava e le polemiche di chi
stava sotto a guardare.

Direttissima.
Una parola che ha segnato un’epoca. Un passaggio sofferto ma obbligato fra il
sesto ed il nono grado, fra l’alpinismo di Comici e Cassin e quello di Messner
e Giordani.

Una
via assurda, inutile, una via da cantiere
edile.

Come è facile parlare quando non si ha la volontà o
la capacità di andare a vedere di persona, di tirare quei chiodi, di stringere
quegli appigli; quando si preferisce sempre guardare indietro e si rifiuta e ci
si oppone all’evoluzione della storia.

No,
non è una via inutile. Non è una successione di chiodi piantati con geometrica
precisione. Anche in mezzo a questi strapiombi gialli la natura ha indicato la
strada per salire e non c’è nessun chiodo nei rari tratti di sesto grado.

E se
nel freddo inverno del 1963 ai primi salitori sono serviti 17 giorni e
tantissimi chiodi, a noi oggi basteranno 11 ore per vedere il sole tramontare
dalla cengia della Grande di Lavaredo. 11 ore in cui Mauro, sospeso sulla punta
delle dita, vincerà con allunghi, spostamenti ed incroci i 500 metri di
strapiombo giallo, nella purezza di stile e nella leggerezza che sempre lo
contraddistinguono.

Kolibris
on sight non è una grande impresa, ma la dimostrazione tangibile delle
possibilità di oggi grazie agli sforzi di ieri.

La
trasgressione dei Sassoni rivitalizzata 30 anni dopo dalla moderna e per altri
versi trasgressiva concezione arrampicatoria della giovane Guida Alpina
triestina Mauro Bole, in arte Bubu.

Via
degli Svizzeri, spigolo dei Scoiattoli,
Paolo VI, esempi di direttissime; tappe di una evoluzione che le pone ora, a
30 anni di distanza, ai vertici del possibile in arrampicata.

Sui
Kolibris Bubu ha superato più di 15 lunghezze di corda su difficoltà costanti
di 7a, con punte di 7b e poi un passo chiavedove le difficoltà, a 300 metri da
terra, sono molto superiori al resto della via.

Io,
m
edio e mediocre
alpinista del mio tempo, seguivo arrancando su quei chiodi fini fini, la cui
sola vista mi faceva desiderare prati verdi e soleggiati, issandomi sulla mia
fida staffa, rumoroso testimone di un sesto grado divenuto ormai storia.

Le
pietre fischiano, sinistre ma lontane, fatte rotolare dalle cordate che finita
la Hasse attraversano la cengia verso destra, 150 metri più in alto. Anche
quelli che hanno attaccato 3 ore dopo di noi sono sulla via del ritorno. Dopo
il tetto le difficoltà calano; posso arrampicare anch’io: 6a, 6b….. ma solo
per pochi metri. In mezzo altri strapiombi, altri chiodi da tirare.

Siamo
soli sulla Nord quando arriviamo in cengia, illuminati dal sole, con tanta voglia
di mare.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

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