a volte si ripercorre la propria vita all’indietro, si ricercano sensazioni magari per trovare nuovi stimoli …. è così che ti trovi a ripensare a certi momenti della tua vita, a un luogo che hai amato tanto e da cui ora stai lontano perchè la vita è cambiata ….. è così che la mente è tornata su quella via, su quella parete davanti al mare croato …….
INFINITO
Infinito come il blu del
cielo che splende sopra il mare.
Infinito come la successione
di calcare in cui sono avvolto da alcune ore.
Infinito orizzonte di
calcare, rigole, placche e strapiombi da unire con traversi esposti. Linea
ideale nell’ombra di questa montagna così piccola eppur così dura e
affascinante.
La bava di zio Fox che mi ha
stregato ancora.
Guardo il mondo attorno a me
mentre riposo gli avambracci e cerco
senza riuscirci, di staccare tutto dalla mia mente per essere solo movimento e
determinazione. Per raggiungere la sosta che intravedo alcuni metri sopra. La
fatica nelle braccia si ripercuote nella testa, riducendo la mia voglia di
lottare, di trovare soluzioni da imporre al mio corpo per salire su questa
parete strapiombante. Sembra lontanissima la sosta di poco fa presso l’albero
della merenda posto a metà parete, un’oasi quasi orizzontale dove le foglie
riparano dai raggi del sole estivo, dove si intravedono gli strapiombi finali e
si deve trovare la concentrazione necessaria per superarli.
Vedo il mio compagno tutto a
sinistra, stanco ma attento alla sosta. Un compagno che mi infonde fiducia in questo mare
di calcare. Trascinato quassù dalla mia voglia di duro, su una via tre gradi
più difficile del suo solito, ammaliato dalla bellezza del luogo e dalla
fiducia nelle mie ben misere capacità. A destra la Dragutin Brahm, invitante,
facile, mi fa l’occhiolino. Una doppia, un traverso e via su tiri di 4° già
percorsi… Sarebbe facile … fin troppo. Guardo Gianni; ripenso alla fatica ed alla
concentrazione che ci sono state necessarie per superare questi primi tiri.
Sarebbe facile. Ma siamo climber, non ci attira il facile, bensì la ricerca dei
nostri limiti, il superarli: limiti fisici, limiti psicologici. E siamo
alpinisti: vogliamo pareti grandi dalla cui base non si veda la cima; oceani di
pietra in cui ricercare una via scolpita nel tempo dall’acqua e dal vento. Una
linea ideale che unisca la base con la cima, una retta perfetta come la scia di
una goccia d’acqua cadente. Orizzonti minerali in cui si specchia la nostra
voglia di vivere; viaggi verticali in cui perdersi, in cui trovare i limiti
della nostra essenza. Ore vissute sulla punta delle dita, senza una ragione,
senza cibo, soffrendo caldo e freddo, fatica e paura per trovare ciò che sta
solo dentro noi stessi, ciò che dà un senso e gioia al resto della vita. Vivere
fino in fondo.
Guardo su, mi metto in
laterale, stringo forte con la sinistra e salgo. Passo il not return point. Ora
volare sarebbe un viaggio nel buio su una parete grande come questa.
Sosta. Braccia sfinite. Ma
ormai so che non si torna indietro. Il blu del cielo si staglia contro il
grigio dello strapiombo finale. La stanchezza combattuta dalla volontà: volontà
di proseguire, di uscire sulla cresta finale, voglia di sentire la
soddisfazione crescere all’interno del corpo e della mente. La valle ad ogni
sosta più lontana. Niente più finezza, avanti vecchia maniera, tirando sui
chiodi se del caso. L’infinito è qui, davanti e dentro di me, sui prossimi due
tiri, duri e bellissimi, in cui null’altro potrà esistere nella mia mente se
non la sensazione del mio baricentro ed una cieca assoluta fiducia nelle mie
braccia stanche. Superarmi, impormi volontà e concentrazione per fare ciò che
fino a ieri non osavo fare. Crescere per conoscermi un po’ di più. Volontà per
non fallire nella mente. Concentrazione per imporre al mio fisico di non
sbagliare.
Ultima sosta: quercus
pubescens, dimensione orizzontale. Il sole illumina il volto di nuovo
sorridente del mio compagno sugli ultimi metri di questa via; la tensione
svanisce e con essa la fatica. E già il presente diventa ricordo delle ore
passate in parete, dei tiri, dei movimenti, degli amici che hanno reso
possibile ciò, con la loro passione e i loro soldi.
Il tempo della meditazione è finito e bisogna
salire ancora fra placche di un grigio infinito come gli occhi che mi stanno
aspettando in valle. La cima, punto d’incontro delle linee di cresta di ogni
montagna svetta assolata sopra di noi. Poche facili placche di bianco calcare.
La raggiungo correndo. Il solito panorama che non smette mai di esaltare si
apre dalla sommità. Sono raggiante. Come poche volte sulla cima di un monte ”i
miei pensieri non partono verso nuovi progetti”. Scendo chiacchierando per la
normale. Poi di colpo mi trovo solo. Gianni si è attardato o sono io che ho
messo il turbo e salto fra un karen e l’altro come uno stambecco, leggero, con
la mente sgombra da ogni cosa, cantando la mia canzone preferita, inno di ogni
uomo libero e specchio di una generazione fallita. Anche se il mio tritolo è il
magnesio, anche se i trent’anni sono passati da un pezzo, o forse non sono mai
arrivati, per noi pochi eletti bambini che inseguendo il nostro pensiero felice
siamo fermi nel limbo dato dalla pietra, impossibilitati ad invecchiare; fermi
come innanzi alle rotaie, immobili, a guadare i treni della vita che scompaiono
all’orizzonte sommersi da altri problemi. Noi, piccole formichine aggrappate
alle spalle dei monti continuiamo a vivere così, da sempre. Nel nostro assurdo mondo,
con gli stessi sogni e gli stessi sguardi di allora; un allora che non è un
quando ma solo un dove senza perché.
La normale vola sotto i miei
piedi. Passaggi che ormai
riconosco a memoria, pietre ed appigli che mi salutano come si fa con un
vecchio amico.
Il torrente in secca non
oppone resistenza al guado e la brezza del canyon asciuga il sudore.
Finalmente posso specchiare
il mio sorriso nel grigio infinito di altri occhi, occhi che danno un valore
particolare alla via appena salita, alla stessa vita. Gioia di vivere da
regalare ad altri. Vitalità che non si ferma davanti alla fatica fisica.
Vorrei prenderle la mano e
portarla al mare, giocare fra le onde …
Mi volto. L’Anica si staglia
contro il cielo azzurro dei Velebit. L’uscita del Klin è illuminata da un
ultimo raggio di sole.
A volte la vita è bella ma
non bisogna preoccuparsene. Questo stato di cose può finire presto. Sta a noi
farlo durare a lungo.
Solo la pietra è infinito e
solo se si è capaci di amare si può capirne il segreto.
Vivere ogni giorno della
propria vita con un sorriso sulle labbra, come fosse allo stesso tempo il primo
e l’ultimo, la vita e la morte strette in un simbolico abbraccio.
Ansia di vivere tutta la
vita, sentirne appieno il profumo.
Giocare sognare … scoprire …
qualcosa di più di mangiare e procreare.
Sorrido al sole, sorrido al
vento, a quegli occhi grigi come il calcare, belli come una placca erosa dallo
stillicidio di infinite gocce di acqua cadente.
Pian piano la mia mente
torna normale, il futuro riprende ad essere la chiave di lettura di una vita.
Nuovi progetti, linfa di
vita; insaziabile sete di nuove avventure, di nuove pareti in cui sprofondare.
Oceani di pietra e di
ghiaccio in cui ricercare i miei limiti, le mie capacità. La mia voglia di
vivere.
Sognare per vivere in
eterno.
“Montagna vissuta, tempo per
respirare”.
M
29/10/99