da solo …..

ogni tanto il richiamo è come una sirena. non ne puoi fare a meno. e allora capita. che prendi e vai. lo zaino pesa una tonnellata, che non c’è l’amico con cui dividere il peso. sei solo tu. tu e la montagna. preso da mille dubbi. da mille angoscie contro l’ancestrale paura dell’ignoto e della solitudine. poi il passo lento ti fa entrare nella montagna. la tua montagna che ami e rispetti. che conosci da anni. il sentiero da seguire è lo stesso che ad essere in 2. la relazione da leggere è la stessa che non esser da solo. ma oggi sono solo. un giovedì di luglio in alpi carniche. probabilmente non incontrerò nessuno ….alla fine invece incontro 6 persone in una splendida giornata. su una montagna ad un’ora dall’auto scarsa. la magia dell’est.
la via di oggi è semplice ed attrezzata. pure alcuni segni gialli conducono sulla parete. ma quando inizi son particolari che non contano molto. salire piano. da solo si va tanto veloce. non ci si ferma. non si discute. ma nemmeno si hanno incoraggiamenti. i prati sono ormai lontani quando mollo la corda e mi lego per fare il tiro chiave. legarsi da solo vuol dire salire 2 volte e scendere una ad ogni tiro. può essere complicato. sicuro rompe le palle alla grande. per questo non faccio mai solitari difficili. troppo arzigogolato procedere in cordata. fatto il tiro chiave ho già voglia di metter via tutto e ripartire slegato…….

alle 10.30 sono in vetta.

ad esser solo in parete tutto diventa spontaneo e automatico. agisci come un automa. non si può sbagliare. ma tutto procede come su un copione scritto. ordine e tranquillità. ed esser solo in mezzo a queste montagne è una gioia che niente può ripagare ……

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

ricordi di soccorso alpino

questo è il racconto, un poco in farsa, di un intervento di soccorso alpino fatta una notte di gennaio nel golfo di Trieste. quel giorno abbiam fatto qualcosa che ha segnato un’epoca spostando avanti il limite del possibile e questo scritto  si è meritato il riconoscimento di esser pubblicato sul libro dei 50 anni del Corpo Nazionale Soccorso Alpino, risolvendo in pochissimo tempo quanto fino allora si faceva in ore……


Arrivo
per primo al parcheggio. Inizio a cambiarmi. I vestiti dell’impiegato volano
nel portabagagli dell’auto sostituiti dalla solita tuta, sporca e lacera, che
caratterizza tutti gli interventi di soccorso e che attende muta e paziente
nello zaino una chiamata che si spera non arrivi mai. Siamo in 4 sta volta.
Andrea Sandra e Giovanni. Il sole ormai è sceso da un pezzo dentro il mare ed è
alla flebile luce delle stelle che ci incamminiamo lungo il sentiero Rilke, una
panoramica passeggiata a 100 metri d’altitudine. 100 metri di strapiombi e
ghiaioni che precipitano con un unico balzo direttamente nelle acque
dell’Adriatico. Cadere oltre il bordo vuol dire sfracellarsi sulle rocce
calcaree. Per cadere devi oltrepassare una ringhiera. L’incidente è da escludersi.
Ancora una volta il nostro entusiasmo, il nostro addestramento, la nostra
dedizione non serviranno per aiutare una persona in difficoltà ma per
recuperare il corpo di qualcuno che non riusciva a vivere.

Brutti
pensieri per iniziare un intervento di soccorso alpino, nel buio di una sera di
gennaio. Arriviamo sulla verticale del recupero. Sotto, in mare, le navi della
Guardia Costiera e dei Vigili del Fuoco illuminano a giorno la parete. Triste è
il contrasto fra la selvaggia bellezza della notte nel bosco e il chiarore dei
fari riflessi contro la roccia gialla. 2 vigili sono già scesi. Saranno l’unico
nostro aiuto. Il solito spiegamento di forze oggi è assente. Sarà perché dentro
questa parete in una notte invernale non c’è gloria facile da raccogliere? O
perché oggi, là sotto, si fa sul serio? Non lo so e non mi interessa. Controllo
l’ancoraggio e scendo. Giovanni mi segue poco dopo portando una corda statica
ancorata all’imbrago, il nostro cordone ombelicale con la sosta, su in alto,
nascosta nei lecci, dove Andrea e Sandra saranno pronti ad eseguire le manovre
di cui avremo bisogno.

Valuto
la situazione. Nonostante l’appoggio navale ed i fari puntati che illuminano a
giorno la parete la situazione non è facile: siamo troppo pochi per fare una
calata tradizionale; e poi dove ancorarsi? L’unico albero non reggerebbe
neppure il peso del mio zaino; per il resto solo pietrame e sterpaglia. La
parete rocciosa, 30 metri più in alto è compatta, ci vorrebbe il trapano, non
bastano chiodi normali….. tutte cose che non ho. Ma l’idea di aspettare giorno
non la prendo nemmeno in considerazione. 14 ore su questi sfasciumi aspettando
la luce ed i rinforzi, con 2 vigili che hanno accolto quasi con un applauso la
nostra apparizione e con Giovanni al suo primo vero intervento. Che p****…. Ho
altro da fare sta sera e poi non sarebbe il caso di perdere la reputazione
rimanendo bloccato sul Rilke tutta la notte! Che diammine sai le risate!.
Quindi: forza Espo fuori un’idea! Prendo la radio. Ho deciso. Faremo le cose in
grande. Arriveremo in grappolo diritti dentro il canottino dei vigili. Chissà
se mai qualcuno l’ha fatto prima… mah. Prendo la radio: Andrea, Andrea da
Massimo cambio. Si avanti…. Senti prepara il totale per far un bel grappolo!!!
andiamo via tutti insieme in un colpo solo. Sono meno di 100 metri (infatti
alla fine risulteranno, con l’allungamento, 98), partiamo con una corda tesa e
poi l’altra andrà in tiro prima o poi! … Mah… sei convinto? Altroché…. O così
o facciamo giorno qua!

Scendo
un poco raggiungendo Giovanni e i 2 vigili; imbarelliamo, leghiamo le corde ed
aspettiamo. Dopo 10 minuti la radio gracchia e ci dà il via. Iniziamo a
scendere illuminati dai riflettori della marina. Peccato nessuno ci riprenda.
Dobbiamo essere magnifici mentre tiriamo la barella su quel ghiaione verticale
riflessi contro il cielo nero. Bella, bella pensata davvero.

La
prima corda, tesa con il nostro carico sembra un cordino da 6 quando ci
troviamo sospesi nel vuoto, ed è solo dopo 20 metri che anche la seconda inizia
a fare il suo dovere prendendosi una parte del nostro peso. Mi tranquillizzo.
Mal che vada con una piccola giunzione siamo a terra in 10 minuti.

A
terra???? C**** non a terra in mare!!!

Lo
svincolo!! Urlo al cielo ed a me stesso.

Lo
svincolo? Mi fa Giovanni, arriva l’elicottero?

Ma
che elicottero. Il mare. Mica possiamo arrivare in 4 più barella al volo dentro
il gommone.

Come
la caliamo la barella stando di peso? La solita storia. I manuali ti insegnano
tutto e poi quello che serve manca. Ma a chi è mai venuto in mente di fare un
grappolo con arrivo diretto in gommone? Svincolando nel vuoto sopra il pelo
dell’acqua tutti appesi alle stesse corde?

E
perché non sta scritto che lo svincolo va fatto anche per l’arrivo della
motobarca e non solo dell’elicottero?

E
perché fra le prove di ingresso nel soccorso non c’è la prova di nuoto?
Giovanni sai nuotare? Anche con tutta la ferraglia e gli scarponi?

Un
poco rido, un poco mi innervosisco. Nessuna voglia di fare un tuffo nella buia
e fredda acqua di gennaio! Appesantito da tutta la ferraglia che ho addosso,
seguito al volo da una barella con un morto dentro e magari dopo aver tagliato,
sempre al volo, la corda che mi tiene su.

Va
beh qualcosa inventeremo!

Siamo
tecnici e quindi addestrati ad inventare non a seguire i manuali.

Scendiamo
intanto.

Passiamo
l’ultimo dente.

Ora
il mare è uno specchio nero e agitato sotto di noi, a piombo sulla nostra
verticale.

Giro la testa a sinistra e
a destra: la parete ora verticale di un bel calcare grigio a gocce entra in
acqua con una bella risacca nonostante la calma di vento. Il tuffo sembra
inevitabile. Il gommone prudentemente si sposta da riva. I vigili non ne
vogliono sapere di correre il rischio di ribaltarsi. Piano, pianooo, cala
piano! Urlo disperato nella radio. Mi preparo. Guardo sotto per calcolare il
tempo d’impatto. In un impeto di ilare pazzia vorrei urlare: Andrea Houston,
qui apollo barella 13. Ammariamo!….

Mancano meno di 10 metri. I
fari impietosi seguono la calata e illuminano l’ultimo fatidico tratto sopra il
mare. Acqua a destra, acqua a sinistra……

Sotto
di me invece, bellissima, incredibilmente proprio sulla verticale di calata una
piazzola. A 30 cm dal bagnasciuga. L’avessi ordinata l’avrei messa proprio là.
Non ci posso credere! L’unico posto orizzontale al pelo dell’acqua su centinaia
di metri di costa. Grande, comodo, quasi 4 metri, al punto che ci possiamo
slegare. Poggiamo la barella, prendiamo fiato. Riordiniamo tutto. Sleghiamo le
corde e passiamo la barella nel gommone. Scherziamo e tiriamo sassi in acqua
aspettando il ritorno del canotto per il nostro turno di imbarco.

Il
mare nero come la pece. Le luci delle stelle nel cielo senza luna. Trieste,
bellissima, in lontananza. Mi piace nuotare, ma il bagno mancato non mi pesa.
Anzi
.

Guardo
le stelle. Lassù qualcuno ancora una volta mi strizza l’occhio benevolo e mi dà
una pacca sulla spalla.

Il
resto è solo una gita in barca. Le luci di Trieste brillano contro il cielo
nero.

La
barca dei vigili non è di quelle da gite romantiche e la compagnia è alquanto
rude e provata dalla stanchezza. Ma l’acqua minerale scende veloce dopo
l’arsura in parete e la tensione inizia a stemperarsi.

L’attracco
mi deposita, per la prima volta nella mia vita, sul molo di Duino, in una notte
senza luna di una calda sera invernale. Quello stesso molo, qualche anno dopo
in un’altra notte senza luna, estiva ma fredda e ventosa cambierà per sempre la
mia vita. Ma allora questo non lo so ancora e lo stress dell’intervento si
stempera fra una pacca sulle spalle e una risata stentata, mentre il medico
legale ed i poliziotti iniziano ad adempiere al loro dovere.

Ancora
una volta abbiamo dovuto operare in situazioni che non esistono nei manuali,
rispondendo al volo e studiando soluzioni alternative, figlie di un territorio
così facile da raggiungere e proprio per questo così difficile da operarci
dentro, stravolgendo regole ed usando quello che di più prezioso abbiamo come
soccorritori: la nostra intelligenza, la nostra capacità ed esperienza
alpinistica, patrimoni che nessun altro al di fuori del nostro corpo possiede o
può vantare di possedere. I vigili ci ringraziano. Non fossimo arrivati noi
avrebbero atteso l’alba su quel ghiaione. Guardo l’ora. Ora di cena. Il tutto
si è svolto nel piccolo spazio di un pomeriggio, quasi una normale arrampicata
da dopo il lavoro.

Ma
resterà indelebile nei miei ricordi, ad insegnarmi ancora una volta ad amare la
vita ed il mondo che me l’ha data.


 

Pubblicato in SOCCORSO ALPINO | 1 commento

INFINITO

a volte si ripercorre la propria vita all’indietro, si ricercano sensazioni magari per trovare nuovi stimoli …. è così che ti trovi a ripensare a certi momenti della tua vita, a un luogo che hai amato tanto e da cui ora stai lontano perchè la vita è cambiata ….. è così che la mente è tornata su quella via, su quella parete davanti al mare croato …….

INFINITO

Infinito come il blu del
cielo che splende sopra il mare.

Infinito come la successione
di calcare in cui sono avvolto da alcune ore.

Infinito orizzonte di
calcare, rigole, placche e strapiombi da unire con traversi esposti. Linea
ideale nell’ombra di questa montagna così piccola eppur così dura e
affascinante.

La bava di zio Fox che mi ha
stregato ancora.

Guardo il mondo attorno a me
mentre riposo gli avambracci  e cerco
senza riuscirci, di staccare tutto dalla mia mente per essere solo movimento e
determinazione. Per raggiungere la sosta che intravedo alcuni metri sopra. La
fatica nelle braccia si ripercuote nella testa, riducendo la mia voglia di
lottare, di trovare soluzioni da imporre al mio corpo per salire su questa
parete strapiombante. Sembra lontanissima la sosta di poco fa presso l’albero
della merenda posto a metà parete, un’oasi quasi orizzontale dove le foglie
riparano dai raggi del sole estivo, dove si intravedono gli strapiombi finali e
si deve trovare la concentrazione necessaria per superarli.

Vedo il mio compagno tutto a
sinistra, stanco ma attento alla sosta. Un compagno che mi
infonde fiducia in questo mare
di calcare. Trascinato quassù dalla mia voglia di duro, su una via tre gradi
più difficile del suo solito, ammaliato dalla bellezza del luogo e dalla
fiducia nelle mie ben misere capacità. A destra la Dragutin Brahm, invitante,
facile, mi fa l’occhiolino. Una doppia, un traverso e via su tiri di 4° già
percorsi… Sarebbe facile … fin troppo. Guardo Gianni; ripenso alla fatica ed alla
concentrazione che ci sono state necessarie per superare questi primi tiri.
Sarebbe facile. Ma siamo climber, non ci attira il facile, bensì la ricerca dei
nostri limiti, il superarli: limiti fisici, limiti psicologici. E siamo
alpinisti: vogliamo pareti grandi dalla cui base non si veda la cima; oceani di
pietra in cui ricercare una via scolpita nel tempo dall’acqua e dal vento. Una
linea ideale che unisca la base con la cima, una retta perfetta come la scia di
una goccia d’acqua cadente. Orizzonti minerali in cui si specchia la nostra
voglia di vivere; viaggi verticali in cui perdersi, in cui trovare i limiti
della nostra essenza. Ore vissute sulla punta delle dita, senza una ragione,
senza cibo, soffrendo caldo e freddo, fatica e paura per trovare ciò che sta
solo dentro noi stessi, ciò che dà un senso e gioia al resto della vita. Vivere
fino in fondo.

Guardo su, mi metto in
laterale, stringo forte con la sinistra e salgo. Passo il not return point. Ora
volare sarebbe un viaggio nel buio su una parete grande come questa.

Sosta. Braccia sfinite. Ma
ormai so che non si torna indietro. Il blu del cielo si staglia contro il
grigio dello strapiombo finale. La stanchezza combattuta dalla volontà: volontà
di proseguire, di uscire sulla cresta finale, voglia di sentire la
soddisfazione crescere all’interno del corpo e della mente. La valle ad ogni
sosta più lontana. Niente più finezza, avanti vecchia maniera, tirando sui
chiodi se del caso. L’infinito è qui, davanti e dentro di me, sui prossimi due
tiri, duri e bellissimi, in cui null’altro potrà esistere nella mia mente se
non la sensazione del mio baricentro ed una cieca assoluta fiducia nelle mie
braccia stanche. Superarmi, impormi volontà e concentrazione per fare ciò che
fino a ieri non osavo fare. Crescere per conoscermi un po’ di più. Volontà per
non fallire nella mente. Concentrazione per imporre al mio fisico di non
sbagliare.

Ultima sosta: quercus
pubescens, dimensione orizzontale. Il sole illumina il volto di nuovo
sorridente del mio compagno sugli ultimi metri di questa via; la tensione
svanisce e con essa la fatica. E già il presente diventa ricordo delle ore
passate in parete, dei tiri, dei movimenti, degli amici che hanno reso
possibile ciò, con la loro passione e i loro soldi.

Il tempo della meditazione è finito e bisogna
salire ancora fra placche di un grigio infinito come gli occhi che mi stanno
aspettando in valle. La cima, punto d’incontro delle linee di cresta di ogni
montagna svetta assolata sopra di noi. Poche facili placche di bianco calcare.
La raggiungo correndo. Il solito panorama che non smette mai di esaltare si
apre dalla sommità. Sono raggiante. Come poche volte sulla cima di un monte ”i
miei pensieri non partono verso nuovi progetti”. Scendo chiacchierando per la
normale. Poi di colpo mi trovo solo. Gianni si è attardato o sono io che ho
messo il turbo e salto fra un karen e l’altro come uno stambecco, leggero, con
la mente sgombra da ogni cosa, cantando la mia canzone preferita, inno di ogni
uomo libero e specchio di una generazione fallita. Anche se il mio tritolo è il
magnesio, anche se i trent’anni sono passati da un pezzo, o forse non sono mai
arrivati, per noi pochi eletti bambini che inseguendo il nostro pensiero felice
siamo fermi nel limbo dato dalla pietra, impossibilitati ad invecchiare; fermi
come innanzi alle rotaie, immobili, a guadare i treni della vita che scompaiono
all’orizzonte sommersi da altri problemi. Noi, piccole formichine aggrappate
alle spalle dei monti continuiamo a vivere così, da sempre. Nel nostro assurdo mondo,
con gli stessi sogni e gli stessi sguardi di allora; un allora che non è un
quando ma solo un dove senza perché.

La normale vola sotto i miei
pi
edi. Passaggi che ormai
riconosco a memoria, pietre ed appigli che mi salutano come si fa con un
vecchio amico.

Il torrente in secca non
oppone resistenza al guado e la brezza del canyon asciuga il sudore.

Finalmente posso specchiare
il mio sorriso nel grigio infinito di altri occhi, occhi che danno un valore
particolare alla via appena salita, alla stessa vita. Gioia di vivere da
regalare ad altri. Vitalità che non si ferma davanti alla fatica fisica.

Vorrei prenderle la mano e
portarla al mare, giocare fra le onde …

Mi volto. L’Anica si staglia
contro il cielo azzurro dei Velebit. L’uscita del Klin è illuminata da un
ultimo raggio di sole.

A volte la vita è bella ma
non bisogna preoccuparsene. Questo stato di cose può finire presto. Sta a noi
farlo durare a lungo.

Solo la pietra è infinito e
solo se si è capaci di amare si può capirne il segreto.

Vivere ogni giorno della
propria vita con un sorriso sulle labbra, come fosse allo stesso tempo il primo
e l’ultimo, la vita e la morte strette in un simbolico abbraccio.

Ansia di vivere tutta la
vita, sentirne appieno il profumo.

Giocare sognare … scoprire …
qualcosa di più di mangiare e procreare.

Sorrido al sole, sorrido al
vento, a quegli occhi grigi come il calcare, belli come una placca erosa dallo
stillicidio di infinite gocce di acqua cadente.

Pian piano la mia mente
torna normale, il futuro riprende ad essere la chiave di lettura di una vita.

Nuovi progetti, linfa di
vita; insaziabile sete di nuove avventure, di nuove pareti in cui sprofondare.

Oceani di pietra e di
ghiaccio in cui ricercare i miei limiti, le mie capacità. La mia voglia di
vivere.

Sognare per vivere in
eterno.

“Montagna vissuta, tempo per
respirare”.

M

29/10/99

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato in ROCCIA | Lascia un commento

MATERIALI

i materiali sono molto importanti nella mia attività. per questo cerco sempre e solo materiale dalle massime prestazioni. ad iniziare dalle scarpette che devono essere comode e precise garantendo allo stesso tempo sensibilità e aderenza. le Bat sono un’ottima scarpetta che abbina tutte queste qualità.

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento

IO

da quando avevo 17 anni passo il mio tempo sulle pareti delle montagne in giro per il mondo. Roccia ghiaccio scialpinismo o semplici escursioni. In un crescendo di interessi ed emozioni che mi hanno portato a varcare pianure e mari per arrivare alla base di pareti che mi facciano sognare. Conoscere posti e genti diverse. frequentare persone come me bruciate da questa passione. L’alpinismo classico è il mio mondo. con un occhio alla tradizione e una mano tesa verso il futuro.

Spero che questo blog serva a conoscere nuovi mondi e nuove persone con cui dividere questa vita Animoticon

Pubblicato in Senza categoria | Lascia un commento